🍝 La cucina tradizionale italiana è già sostenibile, anche se spesso non ce ne siamo accorti

🍝 La cucina tradizionale italiana è già sostenibile, anche se spesso non ce ne siamo accorti

Pubblicato il 31/05/2025

Quando si parla di cucina sostenibile, la mente corre subito a immagini di tofu, avocado esotici, farine di insetti e piatti con nomi in inglese. Ma la verità è un’altra, molto più vicina a noi e alle nostre radici. La sostenibilità vera, quella che nasce dal rispetto profondo per il cibo, per la stagionalità, per la terra, è qualcosa che abbiamo sempre avuto in casa, tramandata di generazione in generazione.

Pensate ai quaderni ingialliti delle nostre nonne, a quei piccoli segreti di cucina custoditi nelle osterie di paese, nei piatti “poveri” che oggi riscopriamo come autentiche delizie gourmet. La cucina tradizionale italiana non è solo una questione di sapore. È una saggezza antica, un’intelligenza pratica e soprattutto un esempio naturale di sostenibilità.

Prima che la parola “sostenibilità” diventasse di moda, prima che si parlasse di prodotti bio o di “chilometro zero” sui menu dei ristoranti, le nostre nonne e le donne delle campagne italiane praticavano già quel modo di cucinare che oggi chiamiamo sostenibile. Non per ideologia, ma per necessità.

Era il tempo in cui si usava solo ciò che la terra offriva, quando gli sprechi erano un lusso che nessuno poteva permettersi. Ogni ricetta nascondeva un’intenzione precisa: nutrire chi si amava, saziare con semplicità e, soprattutto, non buttare via nulla. Quel pane raffermo che qualcuno avrebbe gettato, nelle loro mani diventava panzanella o polpette; quelle verdure ormai un po’ troppo mature si trasformavano in una minestra calda che riscaldava il cuore; e quelle parti meno nobili dell’animale venivano esaltate in ricette di comfort food che oggi sono il simbolo di una cucina che sa di casa, di famiglia, di tradizione.

La sostenibilità non è mai stata solo la somma degli ingredienti, ma un sistema intero. Un modo di vivere e di pensare il cibo che oggi appare quasi rivoluzionario, e invece è stato la normalità per secoli. La cucina tradizionale italiana era – ed è – un modello circolare ante litteram. Si consumava ciò che era di stagione, mai fragole o pomodori a dicembre; si coltivava l’orto, si acquistava dal contadino vicino o si andava al mercato della domenica, diventato per molti un rito. La carne non era la protagonista della tavola quotidiana, ma una presenza occasionale, usata spesso solo per insaporire i piatti, non per riempire i piatti.

Certo, non possiamo tornare indietro agli anni ’50, né dovremmo – i tempi sono cambiati, la vita è diversa. Ma possiamo guardare a quel passato come a una guida preziosa. Possiamo imparare ancora oggi a scegliere le verdure di stagione, a prediligere prodotti italiani, a ridurre le proteine animali, proprio come si faceva allora, con delicatezza e rispetto. Possiamo riscoprire quelle ricette della tradizione contadina, che sono già, senza saperlo, “green”.

E soprattutto, possiamo liberarci dall’idea che la sostenibilità sia una moda riservata a pochi eletti o un lusso costoso.

Perché la vera sostenibilità è semplice. È fatta di scelte quotidiane, di piccoli gesti, di un modo di cucinare che parla di famiglia, di cura, di amore per la nostra terra.

Quando pensiamo al futuro della cucina sostenibile, dovremmo forse smettere di cercare lontano. La risposta più autentica potrebbe essere nascosta proprio in quel taccuino della nonna calabrese, in quel piatto di riso e verza, in quella minestra che sa di casa, di domeniche passate insieme e di storie raccontate intorno al tavolo.

La cucina tradizionale italiana ha tutto ciò che serve per essere contemporanea: gusto, equilibrio e un profondo rispetto per l’ambiente. E più che mai oggi, ha bisogno di essere raccontata, valorizzata e amata, così come merita.

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